lunedì 1 aprile 2013

Cani con la pistola


E’ ancora notte, il silenzio totale fuori nell’oscurità. Ho dormito solo poche ore, poi ho aperto gli occhi e il cervello ha ripreso a lavorare.
Ieri è stata una giornata strana, sapevo già che l’azienda mi avrebbe licenziato per la crisi economica che sta attraversando. Lo sapevo, sono io che mi occupo della contabilità, ma sentirsi dire “mi dispiace doverti licenziare, ecco la lettera” è stata comunque una pallonata allo stomaco. Una sensazione strana: sembrava di stare dentro un tunnel con il rimbombare dell’eco. Una frase detta calma, ma un tornado nella testa.
Mi siedo al tavolino, accendo sotto al caffè, tanto so che non riuscirò a dormire. Prendo un blocco notes e comincio a fare un po’ di conti. Allora le bollette da pagare, il condominio, la rata del mutuo... La matita sembra pattinare sulla carta. Ad occhio e croce ce la posso fare per un po’ di mesi. Ma alla fine di questi, avrò trovato già un lavoro?
Mi accorgo che ho già scolato tutto il caffè, cribbio! Devo cominciare a far attenzione a quello che faccio: altrimenti mi rovino anche il fegato, e questo è un paese dove non puoi permetterti il lusso di star male. Che risata amara!. Questo è un paese solo per ricchi, come anche il resto del mondo, probabilmente.
Ma la rabbia che cova sotto è un’altra, è la rabbia di aver fatto tutto il possibile nelle mie mansioni, di aver svolto con coscienza il mio lavoro, sempre negli interessi aziendali. E alla fine sei comunque un numero, dove puoi tracciare una riga sopra e scrivere annullato.
La beffa: lasciare tutto in ordine e passare il lavoro ad un socio dell’azienda., quindi nelle ultime due settimane mi sono trovata a dar istruzione di contabilità e nozioni di computer. Due settimane pesanti, ma finalmente chiuse.
Ovviamente già ho inviato e fatto varie domande. Ho iniziato a fare telefonate a parenti e amici. E purtroppo non è che in giro abbia trovato una situazione confortante: è un continuo scoprire di altre persone che stanno rischiando o sono già senza lavoro.
Un disagio generale, e se sei disoccupato, può trasformarsi in depressione. Non so ancora cosa succederà, ma se questo paese non ritorna a creare lavoro, la povertà sarà una percentuale pesante da gestire. Io non sono una economista, sono una che fa semplicemente conti e basta.
Nel mio semplice mondo lavorativo so che ogni azienda che muore, c’è un gruppo di altre aziende che perdono un cliente, e la crisi è una catena economica.
E mentre io, come altri di qualsiasi fascia di età, stiamo cercando disperatamente un lavoro, c’è chi sta discutendo e riflettendo sul nuovo governo, c’è chi non si accorda o non vuole accordarsi, e un popolo che ha votato un mese fa, sta andando sempre più in malora.
Il disagio lo senti nell’aria e lo tocchi con mano: quando fai la spesa al mercato e assisti a discussioni animate tra acquirenti su chi è arrivato prima a prendere l’ultimo prodotto in offerta.
Nella rabbia che vedi quando guidi in mezzo al traffico.
Negli spintoni sull’autobus stracolmo per cercare di salir su, perché siamo tutti stanchi di aspettare e rischiamo di fare ritardo al lavoro.
Commento queste scene di vita vissuta e mi accorgo che anch’io sto sfogando una rabbia di disagio. Ancora ragiono, perché in coscienza so che la rabbia impulsiva non porta a nulla, anzi, rischio di danneggiarmi. Ma  la sento già dentro di me, nelle viscere, come un fuoco sotto la brace. Riuscirò a trasformarla in qualcosa di produttivo? Mi auguro di si.
Intanto osservo un popolo che sa lavorare e sa produrre, ma che ancora non si rende conto della propria forza impetuosa. Una forza che qualsiasi governo dovrebbe aver timore, perché qui ci stiamo trasformando in cani abbandonati a se stessi, ringhiosi, rabbiosi. Cani con una pistola in mano.

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