giovedì 20 febbraio 2014

un abbraccio che protegge


“Una leggenda popolare dice che servivano a proteggere le case”, spiega mia madre mentre cammino vicino a lei.
Poco fa sono rimasta colpita dalle due facce che sporgono ai lati di una finestra. Sono volti femminili, curati in ogni particolare.
Avevo circa dieci anni quando li vidi, mi chiesi se anch’io dovevo avere una maschera fuori dalla finestra per proteggermi.

Proteggere la casa, proteggere il proprio rifugio. 

Un volto femminile perché la donna conosce e cura il suo focolare.  A casa disegnai, su un grande foglio bianco, una faccia grande con tanti capelli, gli occhi però li feci grandissimi, perché doveva pur vedere cosa succedeva fuori, ma la bocca la feci rossa e sorridente.
Quelle maschere non sorridevano però!  forse perché avere una faccia vuota serve a scoraggiare i ladri? Oppure serve a non far vedere le tue emozioni?
Io la feci sorridente. Poi l’attacchi sulla porta di casa.

Rimase lì per parecchi giorni. Fino a quando capii che la casa è un non-luogo. Casa è dove stai bene. Dove senti che puoi essere quello che sei, senza fingere o nascondere le tue emozioni. Casa è un abbraccio lungo sorridente….


martedì 18 febbraio 2014

un passo dietro l'altro

Inutile provare a dormire, tanto non ci riesco. Sai che faccio? Esco.

Chiudo la porta e scendo giù per le scale senza far rumore. Accompagno anche il portone per non farlo sbattere, perché è notte, perché è tutto silenzio.

E adesso da che parte vado? Decido per il viale che è illuminato dai lampioni.
E’ facile camminare, è  mettere un piede avanti all’altro, semplicemente. Le luci notturne giocano con i rami degli alberi,  sembra di guardare tante ragnatele.

Ripercorro la piazza principale, lì c’è la mia scuola. Mentre cammino, ricordo quando ci sedevamo tutti insieme sul muretto di fronte alla fontana. 
Strano come i ricordi vengono così all’improvviso. Salgono in testa e si fermano sullo schermo della memoria.
Mi sembra di sentire il calore sulle spalle dei pomeriggi assolati. Rivedo i volti di alcuni amici che ho perso di vista ormai da tempo, seduti insieme a me, con una bibita in mano e sigaretta nell’altra, stavamo ore a parlare di futuro. Avevamo tutti una voglia di crescere velocemente. La questione era sempre quella: un giorno conquisteremo il mondo.

Continuo a camminare, inutile guardare quel muretto, c’è un’assenza fragorosa di gioventù ormai.
Ti accorgi di essere cresciuto proprio quando la questione cambia e non è più quella di conquistare il mondo, adesso è quella di sopravvivere al mondo.


Un passo dopo l’altro. Avanti così. Le scarpe sono sbagliate, ho già una caviglia che viene morsa dal cuoio. Cerco di camminare spingendo le dita del piede più in avanti, fino a farle cozzare contro la punta della scarpa.
E’ facile, vedi? Sempre un passo dopo l’altro.

Arrivo alla piazza più grande, apro le braccia e guardo la luna sopra di me. Buonasera! Guarda ci sono anch’io!                                                   
Nessuna risposta. Fa nulla. Adesso sto bene e la testa è libera. Da tutti i pensieri, da tutti i ricordi.                                                       

Torno a casa, questa volta dormirò come facevo da bambina.


lunedì 10 febbraio 2014

prenditi cura dei tuoi occhi come il mare

Dentro la metro, ma a fine giornata. La folla si dilegua alla fermata della stazione centrale,  trovo un posto per sedermi.
Apro la borsa e, come un cane da tartufi, cerco il cellulare. Inizio a scrollare le immagini sul display, leggo frasi di amici, di poeti, di nuove situazioni sentimentali. Mi accorgo di sorridere, perché è bello vedere come la vita sia sempre in fermento. Come qualcosa possa cambiare anche in pochi minuti.
Alzo lo sguardo e mi accorgo di una donna seduta vicino a me. Non saprei dire che età abbia, le dita sono agili sul touchscreen, il suo viso concentrato. Riesco a vedere i suoi occhi: chiari come una giornata al mare, i capelli sottili che le scendono a piccole ciocche sul viso.
Anche lei tira su lo sguardo e si volta verso me. Ha un viso triste. Occhi come un mare calmo, profondi, ma fino alla tristezza.
Mi sorride appena, ricambio il suo sorriso.
Dopo qualche minuto si rivolge a me con un accento straniero dell’est, ma in italiano corretto: “Per fortuna questi nuovi cellulari ci permettono di tenere i contatti!” Sì, è vero. E’ proprio questo il lato bello della tecnologia, quando dona un benessere democratico e facile per tutti.
Ma perché quella tristezza? “Quanto vorrei ora abbracciare la mia famiglia e le mie amiche! Mi mancano tanto!” La tristezza della lontananza. Il bisogno di un abbraccio: ecco cosa dovrebbe migliorare la tecnologia! Penso dentro di me. Ci si arriverà?
Un giorno tutto cambierà, sono sicura che l’amore che provi per loro verrà presto ricompensato. Le dico.
E i suoi occhi si illuminano come il mare, ma questa volta come il mare alla mattina presto, quando il sole è ancora fresco di colore, e ritorna a mirare il touchscreen.

Intanto è arrivata la mia fermata. Mi alzo e mi fermo davanti alle porte di uscita. Vedo lei che mi sorride e mi sussurra “Grazie! Buona serata!”

Buona serata a te! E abbi cura dei tuoi occhi: quando metti qualcosa dentro la tua anima, i tuoi occhi diventano splendenti…


domenica 9 febbraio 2014

luce di assenza


Di solito preferisco non guardare.

Preferisco immaginare. Come adesso. Immagino che tu stia lì ad aspettare il mio arrivo. Che ancora possa sentire il tuo abbraccio e il profumo del pane in casa.

Ma fa tutto ciò fa parte ormai del passato. Del vissuto già. 



Ma quella luce alla finestra ancora accende il passato. 

E purtroppo il dolore della tua assenza.

mercoledì 5 febbraio 2014

io non so leggere gli occhi

Il rumore della pioggia fa compagnia nel silenzio dentro l’auto. Provo con un panno ad asciugare il vetro. Il traffico è lento e le luci delle auto sembrano disegnare un albero di natale lungo il nastro lucido dell’asfalto.
Passo il panno al mio amico seduto accanto. “Così tu non sai leggere gli occhi? Come è possibile?” mi dice mentre tenta con forza di asciugare il vetro, ma senza risultati soddisfacenti.
Poco fa ho avuto una accesa discussione con una donna durante l’attesa dal medico. Era nervosa già quando è entrata nella sala di ricevimento, e ha iniziato a dire che doveva entrare subito nello studio del  medico, perché stava peggio di tutti quelli che attendevano.
Io non ho risposto. Ma quando ha cominciato a rivolgersi a me dicendo che si vedeva benissimo che non avevo malattie, ho perso la mia calma.
Il mio amico mi ha tirato per il braccio e mi ha trascinato fuori, dicendomi di  lasciarla stare, perché era una donna cattiva, lo si leggeva, appunto, negli occhi.
No, non so leggere gli occhi. Si dice che “gli occhi sono  lo specchio dell’anima”, ma non sono capace di interpretarli.
So leggere i movimenti delle mani, il modo di camminare o quello di reclinare la testa, ma non gli occhi.
Gli occhi sono per me un mistero. Sono troppo veloci nei movimenti, nel girare attorno, nell’essere abbassati. Preferisco considerarli come due registri di ricordi.
Guardi un particolare che ti colpisce e lo registri nella tua memoria, ecco a cosa servono gli occhi. Ad ammirare, ad immaginare. Ma non sono capace di leggere.
Per leggere dentro una persona, ho bisogno di sentirla parlare e di abbracciarla.
Ecco: so leggere gli abbracci. E con gli occhi posso ammirare i mille colori di gioia che esplodono intorno a me, colori immaginari, odori dell’aria, sensazioni che solo un abbraccio sincero può dare.

Anche in una giornata bianca come questa….

E così che ricordo i colori di quell’abbraccio che mi manca.  E ricordo il colore dei tuoi occhi….