sabato 12 ottobre 2013

La rabbia non è fatta per la notte

Sveglia. Niente sonno. E’ quell’ora a metà tra la notte e l’alba. Mi alzo con rabbia perché non ho pace, accendo la televisione.
Con il telecomando passo da un canale all’altro. Da un film commedia, ad una vendita promozionale. Da una pubblicità, ad un telefilm rivisto più volte.
Va bene, visto che corpo e mente si sono alleati per non farmi dormire, allora adesso ve la do io la voglia di star svegli! Indosso una tuta, scarpe da ginnastica. Acchiappo le cuffiette e la bandana. Si esce.
Ancora è buio, ma fortunatamente i lampioni fanno luce, una luce arancio, ma va bene così.
La prima musica che arriva alle orecchie ha un ritmo pop morbido: ideale per stretching e un po’ di riscaldamento. Mentre cammino già a passo veloce, ho l’impressione di attraversare una città nuda. L’asfalto brilla sotto i lampioni, nessuno in giro.
Aumento l’andatura subito, cerco di trasformare la rabbia in fisicità.
Ok, va bene questa velocità, non mi va di aumentare. Passo davanti a vetrine spoglie, manichini magrissimi con abiti di marca che sembrano fantasmi di un aperitivo di lusso.
Arrivo sul ponte, il Tevere è proprio sotto i miei piedi, come un nastro sporco, potrei saltare e fare un tuffo a testa in giù, ma oggi no. Proseguo lasciando alle spalle il ponte ed ecco che entro a Piazza del Popolo. Arrivo all’obelisco e rallento  la corsa. Prendo fiato e  intanto sogno un popolo con mazze in mano che vuole giustizia, vuole fare guerra alla fame. Un popolo che immagino solo, lasciato, abbandonato a se stesso. Come me. “ehi sono qui! e voi dove state?” provo a dire a voce alta. Nessuna risposta.
Mi siedo sui gradini della fontana, e ammiro la striscia rosa acceso che si staglia sui tetti in lontananza. Dall’altra parte un bar tira su la serranda.
Si ricomincia. Ma almeno la rabbia è scomparsa.

martedì 17 settembre 2013

Autunno: propositi per iniziare..

Ricominciare in autunno per me vuol dire fare visite mediche e controlli…quello che io chiamo scherzando fare il tagliando!
E così che mi ritrovo seduta nello studio di un neurologo per un problema di cervicale. “Mah.. si… possiamo dire che lei soffre di un dolore neuropatico muscolo tensivo” cioè soffro di una somatizzazione? Domando. “No, non è esattamente una somatizzazione.” E  giù una serie di paroloni per spiegarmi la differenza. Non capisco nulla, ma annuisco sperando di avere una espressione intelligente.
“Prego si alzi, ecco. Adesso unisca i piedi, braccia tese in avanti e chiuda gli occhi. Resti ferma!” Eseguo tutto, sento che oscillo verso destra, ma riesco a trattenermi in piedi. “Bene. Ora  si pieghi fino a toccare i piedi e ritorni su a schiena rigida”. Ok, e sento che con la mano tasta la spina dorsale. “Bene, può risedersi” Ho superato le prove? Vedo che silenziosamente mi prescrive un farmaco sul suo ricettario, poi mi guarda e mi dice: “E’ importante che lei torni a rifare attività sportiva. Soprattutto curare la fascia addominale e dorsale. Nel frattempo faccia attenzione a quando cammina.”  Mi dice in modo di avvertimento. Perché come dovrei camminare gli chiedo. “Le faccio vedere”. Si alza con il camice bianco svolazzante ai suoi lati, come se fosse Batman in versione ospedaliera. “Dunque lei ha il bacino leggermente ruotato a sinistra, ecco perché ha il piede destro che va fuori, più del sinistro. Inoltre ha un principio di cifosi sacrale. Perciò lei deve camminare gettando la gamba destra più forte in avanti, portando il piedi verso l’interno e contraendo gli addominali per stendere la parte dorsale della schiena e – importante! – devo imparare a respirare con l’addome, non con il petto! Provi!” Provo, sembro un manichino, “Si aiuti con il ritmo delle braccia, ecco così” adesso sembro un manichino scemo. Resto perplessa però sulle manovre: posso respirare prima con l’addome e poi contrarre, oppure tutto allo stesso tempo? “Ma certo! Può fare una cosa alla volta o tutto insieme!” non capisce la battuta, fa nulla: è un neurologo, è per gente seria!
Esco dallo studio un po’ giù di morale. In un’ora mi sono sentita dire che ho un corpo da ristrutturare ed è pure storto. Inizio però subito a camminare come mi è stato spiegato. Ok, ce la posso fare. Guarda che brava che sono! Respiro e contraggo l’addome, giro i piedi. Adesso forzo la camminata, gettando bene le gambe avanti, soprattutto la destra. Sono talmente presa che aumento il ritmo dell’andatura. Ecco! Dai forza! E mentre giro l’angolo della strada, concentrata nella postura, passo un ragazzo sopra ad un motorino e mi urla: “Ahò! Ma che t’ha chiamato l’esercito?” e scappa via ridendo. Ma scoppio a ridere anch’io. Approfitto per entrare in una pasticceria buonissima del quartiere, mi prendo un bel cono gelato. Tornerò in palestra perché per me è salute. Chi se ne importa se sono storta: quelle “storture” fanno parte di me, sono segni che ho vissuto.

venerdì 14 giugno 2013

dica "amen" per favore


Sono un tipo strano, l’ho sempre ammesso. Con i suoi alti e bassi tra logica e speranza. Diciamo che cerco speranza sulla terra. Ultimamente mi piace definirmi uno che spala le nuvole sulla terra, e che cerca di guardare avanti con un sorriso, nonostante la realtà in cui vivio.

E tra questi alti e bassi, può capitare che senta il bisogno di entrare in una chiesa. Premetto che sono anni che non lo faccio. Non sono una praticante cattolica, ho difficoltà a credere in Dio, ma comunque appartengo a quella categoria che “provare non costa nulla”, quindi prego Dio quando ne ho bisogno. E se Dio non mi dovesse rispondere, non posso far altro che prendere atto della sua noia nei miei confronti.

Così, approfittando di un gruppetto di turisti che erano alla ricerca più del fresco, che dell’arte, mi sono mischiata a loro e sono entrata in una chiesa.

Lo sguardo è andato subito al soffitto e alle navate, dipinte in un modo da farti perdere la testa. Ma io non l’ho fatto, soffro di cervicale e me ne guardo bene a stare troppo tempo con il naso all’insù.

Con camminata tranquilla e disinvolta, mi sono seduta ad una panca poco distante dalla navata centrale, ascoltando la messa. Ho notato che non è cambiato molto dall’ultima volta che ne ho sentita una. I ritornelli sono quasi sempre gli stessi, forse più complessi e lunghi, credo che sia una tattica per vedere se gli utenti sono pronti a rispondere con una buona memoria. Io sono rimasta al vecchio “Ascoltaci O Signore”, semplice da ricordare, piuttosto diretto e senza fronzoli. Con “Ascoltaci O Signore” vai sempre dritto al sodo. Trovo inutile fare giri di parole già nella vita quotidiana, figuriamoci poi con un Dio, che avrà un bel da fare …

Il momento di maggior confusione è sempre rimasto la recita del Padre Nostro. Mai che si vada a tempo, c’è sempre quello, o quella, che va con il suo ritmo veloce, con voce nasale, evocatoria, ma pur sempre veloce. E quello che si perde alla seconda frase e che, per recuperare, declama direttamente l’ultima frase della preghiera. E immancabilmente è anche quello che si sbaglia; dopo l’ultima frase, nel silenzio quasi totale della chiesa, gli senti pronunciare “amen” (amen non si dice alla fine del Padre Nostro).

Per rispetto, mi sono alzata anch’io dalla panca e ho recitato il Padre Nostro, ma Lui c’era lì ad ascoltarci? Ho sempre immaginato che invece di essere presente dietro l’altare, fosse seduto una panca dietro la mia. “Scambiatevi un segno di pace” – do una stretta di mano a quella che mi sta davanti. Poi mi giro alle spalle e stringo la mano al signore dietro di me. Magari mi fa l’occhiolino e mi dice. “Allora? Sono io, non hai nulla di chiedere?”

Lasciamo perdere che ne ho di cose da chiederti. Poi tu non sei quello che vede e sente tutto?

“Si, vero. Io vedo e sento tutto.”

Mi siedo ad aspettare che il momento della comunione. La fila dei fedeli è piuttosto lunga, e  permette di andare avanti con la discussione.

Allora se vedi e senti tutto perché non fai qualcosa di utile e ti dai da fare? A che servi se stai lì solo a sentire e guardare senza agire. Sei un Dio, mica un voyeur!

Sorride radiosamente, sapendo che solo un sorriso radioso delle volte può far veramente abbassare la guardia. “E perché tu, invece di lamentarti e domandare in continuazione, non agisci di più?”

Ah no! Non ci casco caro mio. Io sono un essere umano, e come tale ho dei limiti fisici, mentali e temporali. Tu no. Tu hai poteri, come quelli di un mago. Sai leggere nella testa e nell’anima. Puoi far cambiare il percorso delle vite. Sei tu quello che ha responsabilità di fare e cambiare.

Rimane perplesso, con le braccia conserte, mirando il soffitto. Dai suoi occhi percepisco una certa mitezza, quella che io chiamo un’assenza di ostacoli, e ghermire una assenza di ostacoli non è facile, è meglio avere un muro, almeno puoi valutare le resistenze e le debolezze.

La fila della comunione sta quasi per terminare. Lui non mi ha più parlato. E’ ovvio. L’ho stretto davanti alla sua responsabilità. Mi rigiro per vedere la sua espressione, ma resto delusa: mi sorride.

“allora? E’ inutile dire quello che desidero. Lo sai benissimo. E’ da una vita che aspetto un momento che riesca a cambiare tutto!” gli dico.

“allora fallo e cambia!” mi risponde con estrema pacatezza, come se fosse la cosa più semplice da fare e che in realtà non è semplice per niente. Sento che mi monta la rabbia dentro. Mi rigiro di nuovo e urlando…sottovoce (c’è gente che prega qui!) gli rispondo “Ma che diamine dici…”

“Ehi non parlarmi così! “ – “Ops, scusami hai ragione. Perché mi dici questo? Lo sai che ho provato e riprovato. Ed eccomi. Senza nulla in mano. Senza un futuro. Anzi ho la sensazione di aver perso tempo e di non averne più!”

“vedi la visione dell’essere umano come è ristretta? Prova invece già da adesso a cambiare. Prova e riprova. Non puoi sapere se stai aprendo la porta giusta. Come non puoi sapere se quello che cerchi in realtà ce l’hai già sotto il naso. Il tuo problema è che sei proprio un umano, e misuri tutto con i limiti fisici e logici. Prova invece a misurare con i sogni. O con le nuvole. Visto che le sai spalare sulla terra.”

Uff! è inutile parlare con lui, parla sempre per enigmi. E’ da una vita ormai che lo fa!

Finisce la funzione, l’ultimo segno della croce. Finalmente si può dire amen senza sbagliare e rendere grazie a Dio.

Raccolgo la borsa lasciata davanti, mi giro e lui non c’è. Non c’era neanche prima.

Esco fuori sulle scalinate, il vento fa svolazzare il foulard attorno al collo, mi diverte  ripensare allo scambio di battute fantasiose avute poco fa. Ma cambierò.

domenica 2 giugno 2013

Quattro passi con le ali


Sono come un folletto. Mi alzo su verso il cielo e spiego le ali giuste. Oggi faccio quattro passi fra le nuvole. MI siedo sulla nuvola più grande e guardo la città. Tante persone piccole che camminano sulle strade, macchine che sfilano nel traffico. Non c’è rumore quassù, non ci sono spie quassù, esisto solo io. Non è poco!.

Svolazzo  sull’altra nuvola, osservo il mare da lontano, oggi il sole da spettacolo.  E di quei travagliati giorni non ho ricordi, so che eri accanto a me e che mi aiutavi contro il mondo. Ora sento la mancanza di quell’aiuto, ma  mi chiedo dov’è quel coraggio?

Volo ancora, vedo i palazzi, le piazze che si riempiono di gente, vedo sorrisi, vedo abbracci. E’ tutto più bello visto da quassù. Non voglio scendere, dai ! ancora un altro giro!

Proseguiamo verso le montagne, eccole laggiù, arrivo sulla cima e un panorama da rimanere senza fiato! L’aria è forte e ubriaca la testa. Dai ! ancora un altro giro.

Ma le ali mi riportano alla nuvola di prima. E ora di scendere, fa nulla.

Capiterà poi di rifare una passeggiata…

venerdì 31 maggio 2013

riuscire, bene-

Riuscire. Rimbalza la parola da una parte all’altra della mente. La stanza silenziosa, un leggero movimento di tende fa da respiro alla casa. Riflessi di sole giocano sul muro.
Riuscire. Ripeto dentro la mia testa.
Nessun movimento, non muovo neanche un muscolo. Va bene, Provo a respirare seguendo il ritmo fluttuante delle tende. Ecco, il tessuto si gonfia, ok vai. Inspiro l’aria dal naso, sento il torace che si gonfia. Bene. Ora butta l’aria fuori con lentezza. Ecco, così.
Riesco a calmare le onde dentro di me.
Riuscire.
Va bene, Va tutto bene, ora concentrati su quello che hai fatto fino ad ora. Pensa. Non è andato tutto male. Pensa. Respira di nuovo. Perfetto.
Sono una bravissima coach. Ora respiro regolarmente. Il cuore sta battendo lentamente. Le tende si muovono lentamente.
Ripeti con calma la parola: riuscire. Perfetto, la ripeto ancora. Riuscire. Ottimo.
Sto migliorando, la presa che sentivo alla gola non c’è più. Ora sono una assenza di ostacoli, mi posso fermare e pensare perché non ho bisogno di sbaragliare questa assenza.
Riprendo a muovermi, mi alzo da terra con calma. No, il caffé non è un buon consiglio. Prendo un bicchiere d’acqua. Che buona, è fresca e scende giù in gola facilmente. La testa gira ancora ma va bene, sta passando tutto.
Riuscire. Si, ce l’ho fatta, sono in piedi. Pensa, Si penso e sto progettando di nuovo. Bene. Anche per oggi è andata!


venerdì 10 maggio 2013

l'importante è vivere (non solo ricordare)

Era la cugina scapestrata di mia madre. Tutti commentavano sempre che non c’era da fare affidamento su di lei. Ma mia madre no:.era la sua cugina preferita e divenne ben presto la mia zia preferita.
Ricordo i suoi capelli mogano, come quelli di mia madre. Tutte e due avevano sempre chiome fluenti sulle spalle e non era un caso vedere uomini che si voltavano a guardarle mentre passeggiavano insieme nelle vie centrali della città.
Mia zia non si è mai sposata, era uno spirito libero. Scriveva articoli di moda e le piaceva dire che era il lavoro che aveva scelto lei, perché la portava spesso a viaggiare, e ogni volta che tornava, aveva sempre un regalo particolare. Qualche volta anche dei vestiti fatti da sartorie e il soggiorno diventava un caos di pacchi e carta velina.
Lei era così, dove arrivava c’era allegria e tanta musica. Si toglieva le scarpe e con mia madre provavano a ballare un passo particolare visto in qualche viaggio. Era un fiume di aneddoti: ricordo di serate invernali, sedute sul divano con le gambe raccolte tazza di cioccolata fumante in mano, e lei, con i suoi capelli lunghi che scostava dal viso con un gesto aggraziato della mano, che raccontava e raccontava.
Quando mia madre morì, per mia zia fu un brutto colpo. Non veniva più spesso a casa mia, poi fui trasferita per motivi di lavoro  e ci perdemmo di vista.
Dopo cinque anni riuscii a rientrare a Roma e l’andai a trovare subito. Era sempre allegra, ma la luce dei suoi occhi era diversa. Capii il perché. Avevamo deciso di fare un caffè, lei si diresse in cucina per metter su la macchina, io rimasi a guardare la televisione.
Dopo un po’ mi accorsi che stava passando troppo tempo. Mi alzai dalla poltrona e andai in cucina, la trovai davanti ai fornelli, immobile. La chiamai, lei si voltò e mi guardò sorridendomi. Qualcosa non andava. Le chiesi se aveva bisogno di aiuto e mi rispose con un cenno della testa, poi parlò e mi disse che non sapeva come si faceva il caffè. Non ti preoccupare: faccio io.
Il giorno dopo chiamai il medico e la portai a fare una visita. Stava cominciando a perdere la memoria, era un segno di vecchiaia, ma andava tenuto sotto controllo. Ci furono altre visite e risonanze magnetiche negli anni successivi, fino alla decisione finale che prese lei direttamente: vendere casa e andare in una residenza assistita. Rideva ancora mentre preparavamo gli ultimi bagagli, ma non volle che la seguissi dentro la residenza, perché i giovani devono stare con i giovani. Provai ad insistere, ma con le medicine che prendeva era soggetta a scatti di rabbia. Lasciai stare, pensando che poi sarei andata a trovarla. Dopo un paio di settimane mi chiamarono al telefono urgentemente: mia zia era peggiorata notevolmente, non c’erano molte speranze.
Mi feci forza e andai. Era stesa sul letto, con i capelli, ormai bianchi, raccolti in una treccia lunga, con un piccolo fiore di seta in fondo. Mi avvicinai al letto, teneva gli occhi chiusi, ma li apri subito come misi la mia mano sulla sua. Mormorò il mio nome e mi sorrise. Non mi resta più tanto, ma cosa dici? Le risposi, non è vero, hai solo un po’ di febbre. Mi tremava la voce, ripassare un altro dolore no, basta.  Mi disse di accendere lo stereo che aveva vicino al comodino, lo feci e venne fuori un valzer bellissimo.
Quante volte lo abbiamo ballato io e Raule. Chi era Raule? Il suo viso improvvisamente ebbe un colorito roseo. Raule era un uomo conosciuto a San Francisco, bellissimo, che le faceva la corte, voleva sposarsi, ma lei – testarda – le disse di no. Continuarono comunque a vedersi. Fino a quando poi lui conobbe un’altra donna che invece rispose si alla sua proposta di matrimonio. Non l’aveva mai raccontato a nessuno di questo amore. Continuava a mormorare le note del valzer, ondeggiando lievemente la mano con il tempo della musica. Allora mi accostai di più a lei e le sussurai all’orecchio di salutare i miei genitori quando sarebbe andata di là. Lei aprì gli occhi e mi rispose che lo avrebbe fatto, perché sicuramente erano già pronti ad accoglierla. Rimasi vicino al suo letto, fino a quando sentii l’ultimo suo respiro. Leggerissimo. Ma un tuono dentro le mie orecchie… mi è rimasto il suo album di fotografie fatte durante i suoi viaggi. L’ultima foto, la più grande, c’è mia zia che balla con Raule, e sotto un suo scritto: “Titti quando avrai questo album, ricordati di vivere”. Seguito dalla sua firma: un disegnino di una faccina sorridente. Era maggio 2006, e ti ricordo ancora insieme a mia madre. Io sto ballando il valzer, solo che  lo sto ballando da sola…ma con la tutta la forza che mi avete insegnato.

martedì 23 aprile 2013

solo cinque minuti


Che darei per averti cinque minuti! Solo cinque minuti, cosa sono in fin dei conti? un granello di polvere di fronte al’immensità.

1° minuto: per raccontarti tutto quello che mi è successo.

2° minuto per sapere tutto quello che ti è successo.

3° minuto per chiederti come sarà dopo il futuro e se sarai con me.

4° minuto per sentire ancora la tua voce che mi calma ancora e mi da coraggio.

5° minuto per abbracciarti forte a me, perché quella tenerezza non mi fa più paura e ho bisogno di risentirla ancora

…. Il quinto minuto dovrà essere però lunghissimo, perché ho bisogno anche di fiducia e sapere che non ti ho deluso..


venerdì 19 aprile 2013

Una giornata così...


Ma sei tutta matta?” dico quasi urlando a mia cugina per telefono, mentre lei continua a tirar giù varie motivazioni che vanno dalla “stai troppo a pensare” a “cosi respiri un po’ d’aria”. Mi ha nominato come adulto accompagnatore alla gita di mia nipote, e sono stata accettata.
Ed ecco che alle 8 del mattino sono davanti al piazzale della scuola, circondata da una orda di bambini di otto anni e una insegnante silenziosa con tanto di occhiali scuri, vestita sportiva, ma con un esaurimento nervoso in pieno corso. Dopo aver fatto il conteggio dei bambini, zaini, maglioncini, raccolto liste delle raccomandazioni materne sul mangiare, raffreddori e allergie varie, finalmente saliamo sul pullman.
Il mio posto è davanti, accanto all’insegnante, già munito di microfono. I bambini invece proseguono nel corridoio centrale.
Si passa all’ennesimo conteggio per vedere se ci sono tutti, poi si parte.
La porta si chiude facendo il classico suono a sbuffo, fuori i genitori cominciano a sbracciarsi per i saluti. Mi sembra la partenza del Titanic, sperando di non fare quella fine, però! L’insegnante acchiappa il microfono raccomandando a tutti inutilmente di star seduti, l’autista da una strombazzata e comincia a roteare il volante. Ok, ci muoviamo.
Dopo una decina di chilometri, le voci urlanti cominciano ad affievolirsi, il loro rumore viene lentamente sostituito da quello di pacchetti di merendine che si aprono, e sul pullman si sparge subito l’odore dolciastro del lievito e burro di fabbrica. Qualcuno con la merenda salutare preparata dalla mamma c’è, ma decide di barattarla per un saccottino del mulino bianco al cioccolato.
La prima destinazione è la visita al parco-zoo “dal vivo”, come recita un depliant che ho a disposizione.
Passiamo con il pullman all’interno del parco naturale, osserviamo qualche elefante, un paio di struzzi.
Qualcuno urla di aver visto un leone, impossibile risponde un altra con aria saccente, quelli cacciano solo di notte. Meno male, se per caso buchiamo una gomma almeno possiamo scendere per sostituirla. Riconosco che oggi non sono molto ottimista, ci mancherebbe che buchiamo una gomma; però l’idea del leone che dorme francamente non mi dispiace.
Arriviamo in uno spazio aperto e ammiriamo un paio di giraffe che comodamente stanno mangiando delle foglie strappate da un albero. Il mio ottimismo migliora, vedere quel collo lungo non posso immaginare il dolore che può avere una giraffa con la cervicale!.
Proseguiamo fino all’uscita del parco, la nostra nuova destinazione è il museo di pittori contemporanei. Pittori contemporanei? L’insegnante, che fino ad allora non aveva ancora aperto bocca, finalmente mi parla, e mi spiega che i tempi sono cambiati, ora le generazioni sono più avanti. Sarà, ma io non mi rimpiango i tempi che giocavo a pallavolo durante una gita.
Arriviamo al museo, l’autista è preso da un momento da Miami Vice, decide di fare una bella curva davanti al piazzale dell’entrata, girando lo sterzo con una mano, e voilà! Eccoci in sosta davanti alla scalinata, nonostante le varie borse e panini che sono rotolati per terra, devo riconoscere che scendiamo perfettamente davanti alla scalinata.
Tutti in fila per favore, e non muovetevi. Ordine non recepito: sale su per la scalinata una orda barbarica di bambini sudaticci e spettinati, inseguita da due adulti altrettanto sudaticci, ma urlanti come due gorilla.
Avanti contiamo se ci sono tutti. Perché? Temi che qualcuno sia rimasto a bordo a tenere in ostaggio l’autista? Lascio perdere e non lo dico. La conta comunque ha dato un risultato positivo; ci sono tutti.

Entriamo nel museo, accolti da una sensazione di fresco. Marmi lucidi da tutte le parti, e quadri di arte contemporanea, messi in fila lungo corridoi illuminati dal sole che entra da vetrate altissime. Confesso che ogni volta che entro in un museo subisco sempre quella sensazione di maestosità: è una sensazione bella, di rispetto. Anche i bambini ne subiscono il fascino, rimangono silenziosi, in fila dietro l’insegnante, con le faccine rivolte all’insù ad ammirare i quadri appesi. Non me l’aspettavo, avevo immaginato più confusione considerata l’età, ed invece sono tutti molto educati.
Ne vado orgogliosa, c’è anche mia nipote che partecipa…a proposito dov’è? Non la vedo in mezzo al gruppo, né lei, né le sue due amiche del cuore. Mi si gela il sangue.
Ritorno indietro di un paio di corridoi, chiedendo a vari custodi se hanno visto tre bambine insieme, ma nessuno mi sa rispondere. Ho il panico: perdere tre bambine così è davvero ridicolo! Cosa racconto a mia cugina? Che mi sono distratta per i quadri? O che ero troppo occupata a godermi il fresco dei marmi?
Mentre ripercorro con il cuore in gola i corridoi già visitati, mi ricordo una sala un po’ nascosta, forse sono lì.
Infatti le trovo tutte e tre che guardano, con la testa piegata al rovescio, un quadro di Paul Klee. Mia nipote vedendomi arrivare, mi corre incontro raggiante, annunciando che hanno scoperto che quel quadro è appeso al contrario. Scoppio in una risata sonora, anche per la tensione, l’abbraccio stretta a me, affondando il naso nei suoi capelli che sanno di buono. Ma mi faccio poi vedere arrabbiata per il loro comportamento: dovevano seguire il gruppo e perlomeno far presente che volevano fermarsi. Tenendoci tutte per mano, ci muoviamo di corsa per riunirci al gruppo.
La gita è quasi conclusa, dobbiamo fare solo la sosta per il pranzo, poi proseguiremo per il rientro.
Il pullman all’interno è una festa di voci e cartoline colorate, anche l’autista è di buon umore, ha regalato un fiore a me ed uno all’insegnante, che finalmente si è tolta gli occhiali scuri, rivelando un viso perfetto e due occhi nocciola dolcissimi.
Raggiungiamo un autogrill enorme e ci dirigiamo verso il parcheggio autorizzato. Scendiamo tutti insieme, ci contiamo un’altra volta, e poi saliamo su per le scale di entrata. Superiamo in corsa un gruppo di turisti, sperando di essere noi i primi a fare la fila per il pranzo. Arriviamo infatti che ancora ci sono pochissime persone nel salone e tutti insieme prendiamo i vassoi, scorrendo uno per uno, davanti alle vetrine appannate dei pasti caldi. Io resto fuori dalla fila per controllare che ognuno di loro prenda le porzioni giuste, la maestra invece che siano secondo le liste delle diete raccomandate dalle mamme. Poi finalmente ci sediamo comodamente ad un paio di tavoli lunghi. E’ divertente star a mangiare con loro, soprattutto vedere i dispetti che si fanno l’uno con l’altro, le loro rivalità su chi è più bravo a fare cosa. Ma prima di uscire è giusto che ci sia anche la pausa pipì.
Mia nipote subito mi chiede di accompagnare lei e le sue amichette ai bagni, mi piace essere considerata una capo banda, e in testa alla fila ci dirigiamo verso i bagni. Una pausa un po’ lunga, ma dobbiamo considerare i tempi della tenuta porta senza chiudere a chiave e le lavate di mano. Poi, sempre come capo banda, ritorniamo sul corridoio per scendere al parcheggio.
Ma qualcosa non va. Quando arriviamo alla fine delle scale, il posto è diverso, mia nipote però insiste che il pullman è dietro la fila delle macchine. Ci arriviamo ma non c’è.. abbiamo preso il corridoio nella direzione sbagliata. Tutti su a fare la scalinata di corsa, intruppando varie persone che scendono pieni di pacchetti e bottiglie d’acqua. Calma ragazze, non vanno via senza di noi, ma sbrighiamoci! gli dico mentre corriamo lungo il corridoio che fa da cavalcavia dell’autostrada. Chi passava in quel momento poteva gustarsi la scena: una banda di bambine, armate di cappellini, accompagnate da una adulta che è più ragazzina di loro. Guarda zia: c’è la rivista che ti piace qui! Non è il momento, andiamo.
Scendiamo giù le scale dalla parte giusta e tutte insieme raggiungiamo il pullman già pronto con motore acceso. Saliamo di corsa, finalmente si va verso casa. Posso dire che mi sento sollevata? Si che lo posso dire. Che giornata!
Arriviamo a scuola, ci sono vari saluti e strette di mano; prendo mia nipote per portarla a casa, le sue due amichette si avvicinano per salutarmi, e una di loro mi dice “Signora la prossima volta ritorna con noi in gita? Perché lei è veramente un “taglio”?”
Mi fa piacere che me lo abbia chiesto… ma vedremo!



lunedì 8 aprile 2013

io voglio il lieto fine

Una giornata ventosa, che sembra fatta apposta per il mio umore. Sono in compagnia di un amico di  che, come me, è senza lavoro.
Stamani siamo andati ad una agenzia interinale, abbiamo riempito moduli, fatto test attitudinali, valutato le conoscenze delle lingue straniere.
Alla fine hanno inserito i nostri nominativi nel loro database e detto che saremo contattati al più presto.
Al più presto quando? Ho chiesto alla ragazza, vestita con la divisa colorata dell’agenzia: “Non posso essere precisa, dipende dalle posizioni che sono richieste. Arrivederci” è stata la risposta, accompagnata da un sorriso falso e sistemata di occhiali firmati sul naso. Avrei voluto dirle a chiare lettere che non c’era bisogno del sorriso di sufficienza, bastava parlare, e non farmi perdere tempo a riempire tutti quei questionari e moduli valutativi. Ovviamente non l’ho fatto, ho tenuto a bada la mia frustrazione; non è colpa sua, è una dipendente che sta svolgendo semplicemente le sue mansioni.
Così, finalmente, siamo usciti all’aria aperta, e incamminati lungo il viale per ritornare a casa. Una sosta al bar per un caffé, un giornale all’edicola lì vicino, ed eccoci seduti alla panchina dei giardini. Lui intento a leggere un articolo di politica, io invece ad osservare le persone che passano.
In lontananza si sente il vociare animato dei ragazzi dall’uscita da scuola, mi diverto a guardarli mentre arrivano di corsa, con giacche legate in vita, che poggiano senza grazia i loro zaini per terra. Uno di questi sale su un tronco d’albero reciso e inizia a ballare, qualcuno lo riprende con il cellulare, altri invece si scambiano orari di appuntamenti, e tutti diversi. Mi vien da pensare se sono scoordinati loro, oppure io ho un’altra concezione del tempo.  
Provo una punta di nostalgia per quella leggerezza, ma ogni età ha un suo percorso di vita. Io l’ho passata tempo fa, ma mi manca quella sensazione del tutto è possibile nel futuro, soprattutto ora.
Non può essere sempre così,  e non voglio che sia sempre così tutto incerto.
“Voglio il lieto fine!” mi scopro a dire a voce alta. L’amico, seduto vicino a me, alza lo sguardo dal giornale e mi sorride. “Se vuoi il lieto fine, ci sarà. Ma non nutrire tante aspettative, sii realista.”
Sono realista, ma mi rifiuto di essere così. Ho 50 anni compiuti, ho ancora tanta di quella energia che spaccherei quell’albero reciso, anzi ci salirei sopra, mandando una bella musica dance a palla e farei ballare tutta la via. Perché non devo avere un lieto fine? Sono realista perché credo in quello che sogno.
“D’accordo:  ma i sogni sono belli perché tali” mi risponde lui. Ma quando senti che tutto ti crolla addosso, io ho imparato a farmelo scrollare dalle spalle e a salirci sopra.
Si, ho detto a salirci. Non so cosa ci sarà nel mio futuro, ma tutto quello che mi pioverà addosso, io continuerò a scrollarlo dalle spalle e a salirci su. Fino a quando tutto questo diventerà una montagna, e se continuo a salire, scrollata dopo scrollata, io sarò su in cima alla montagna. Io avrò lieto fine, perché lo voglio.
“Caro amico mio, i sogni possono diventare realtà, soprattutto quando non hai nulla da perdere…Benvenuto nuovo che avanzi!” .

lunedì 1 aprile 2013

Cani con la pistola


E’ ancora notte, il silenzio totale fuori nell’oscurità. Ho dormito solo poche ore, poi ho aperto gli occhi e il cervello ha ripreso a lavorare.
Ieri è stata una giornata strana, sapevo già che l’azienda mi avrebbe licenziato per la crisi economica che sta attraversando. Lo sapevo, sono io che mi occupo della contabilità, ma sentirsi dire “mi dispiace doverti licenziare, ecco la lettera” è stata comunque una pallonata allo stomaco. Una sensazione strana: sembrava di stare dentro un tunnel con il rimbombare dell’eco. Una frase detta calma, ma un tornado nella testa.
Mi siedo al tavolino, accendo sotto al caffè, tanto so che non riuscirò a dormire. Prendo un blocco notes e comincio a fare un po’ di conti. Allora le bollette da pagare, il condominio, la rata del mutuo... La matita sembra pattinare sulla carta. Ad occhio e croce ce la posso fare per un po’ di mesi. Ma alla fine di questi, avrò trovato già un lavoro?
Mi accorgo che ho già scolato tutto il caffè, cribbio! Devo cominciare a far attenzione a quello che faccio: altrimenti mi rovino anche il fegato, e questo è un paese dove non puoi permetterti il lusso di star male. Che risata amara!. Questo è un paese solo per ricchi, come anche il resto del mondo, probabilmente.
Ma la rabbia che cova sotto è un’altra, è la rabbia di aver fatto tutto il possibile nelle mie mansioni, di aver svolto con coscienza il mio lavoro, sempre negli interessi aziendali. E alla fine sei comunque un numero, dove puoi tracciare una riga sopra e scrivere annullato.
La beffa: lasciare tutto in ordine e passare il lavoro ad un socio dell’azienda., quindi nelle ultime due settimane mi sono trovata a dar istruzione di contabilità e nozioni di computer. Due settimane pesanti, ma finalmente chiuse.
Ovviamente già ho inviato e fatto varie domande. Ho iniziato a fare telefonate a parenti e amici. E purtroppo non è che in giro abbia trovato una situazione confortante: è un continuo scoprire di altre persone che stanno rischiando o sono già senza lavoro.
Un disagio generale, e se sei disoccupato, può trasformarsi in depressione. Non so ancora cosa succederà, ma se questo paese non ritorna a creare lavoro, la povertà sarà una percentuale pesante da gestire. Io non sono una economista, sono una che fa semplicemente conti e basta.
Nel mio semplice mondo lavorativo so che ogni azienda che muore, c’è un gruppo di altre aziende che perdono un cliente, e la crisi è una catena economica.
E mentre io, come altri di qualsiasi fascia di età, stiamo cercando disperatamente un lavoro, c’è chi sta discutendo e riflettendo sul nuovo governo, c’è chi non si accorda o non vuole accordarsi, e un popolo che ha votato un mese fa, sta andando sempre più in malora.
Il disagio lo senti nell’aria e lo tocchi con mano: quando fai la spesa al mercato e assisti a discussioni animate tra acquirenti su chi è arrivato prima a prendere l’ultimo prodotto in offerta.
Nella rabbia che vedi quando guidi in mezzo al traffico.
Negli spintoni sull’autobus stracolmo per cercare di salir su, perché siamo tutti stanchi di aspettare e rischiamo di fare ritardo al lavoro.
Commento queste scene di vita vissuta e mi accorgo che anch’io sto sfogando una rabbia di disagio. Ancora ragiono, perché in coscienza so che la rabbia impulsiva non porta a nulla, anzi, rischio di danneggiarmi. Ma  la sento già dentro di me, nelle viscere, come un fuoco sotto la brace. Riuscirò a trasformarla in qualcosa di produttivo? Mi auguro di si.
Intanto osservo un popolo che sa lavorare e sa produrre, ma che ancora non si rende conto della propria forza impetuosa. Una forza che qualsiasi governo dovrebbe aver timore, perché qui ci stiamo trasformando in cani abbandonati a se stessi, ringhiosi, rabbiosi. Cani con una pistola in mano.

lunedì 25 marzo 2013

è solo una gran fame


Tiro giù i piedi dal letto, faccio fatica ad alzarmi. Normale, non ho dormito affatto.
Raggiungo la cucina ondeggiando da una parte all’altra, e apro la finestra. Un cono di luce illumina con  dispetto il pavimento, per un attimo sono costretta a chiudere gli occhi.
Fuori la giornata sembra luminosa, sento già i rumori soffusi della vita cittadina, ma mi accorgo che l’ansia dei giorni trascorsi ancora è vigile dentro la mia testa.
Mi impongo di fare tutto con calma, sperando che i movimenti lenti riescano a sconfiggere quel nodo che sento dentro. Anzi, quel cappio al collo; mi accorgo che ho la schiena rigida dalla tensione e il respiro è quasi faticoso. Agitarsi non serve, ripeto dentro di me.
Nonostante i movimenti calmi, riesco comunque a fare qualche pasticcio, tipo smagliare le calze (che novità!!), indossare la maglia al contrario (ma porta fortuna! forse dovrei tenerla così...), e peggio! far cadere il bicchiere del caffelatte, però recuperato al volo (riflessi ancora giovani ..yes!).
Bene, pronta per uscire. Mi rimiro allo specchio del bagno e ….cribbio! ma quella faccia lì sono io? La pelle è bianchissima, quasi cadaverica, con le occhiaie che hanno deciso di continuare la presenza.
Ok: acchiappo al volo il correttore e do una leggera sfumatura. Poi il fard:  materializzo un po’ di salute sulle guance. Adesso va meglio, ora sembro la pubblicità del ministero dellla salute “punto.gov punto it.”  
Pazientemente mi incammino verso il mercato, con il carrello della spesa appresso, che fa un rumore bestiale con le sue ruote vecchie. Il cigolio mi da fastidio, ma sopporto lo stesso. In lontananza vedo tre signori anziani seduti alla panchina del giardino. Hanno le spalle girate al sole e giornali piegati sulle gambe. I loro visi sono allegri, uno di loro sta raccontando qualcosa che lo  fa smanettare e agitare le braccia. Passo davanti a loro, e tutti e tre si tolgono il cappello a mo’ di saluto. Io rispondo con un sorriso stiracchiato, facendo cenno con la testa. Quello che raccontava mi guarda e dice: “Signora mia ha la schiena curva come se portasse il peso del mondo!” Non mi va di parlare, però non è educato non rispondere. Mi giro verso di loro e sorridendo gli spiego che sono un po’ angosciata da problemi. E lui sorridendo mi risponde: “Io ho ottantacinque anni, ne ho passate di tutti i colori, ma le posso dire una cosa: la vita è breve, troppo breve. Se la goda, non è detto che domani sia così come oggi”
Ha ragione: non è detto che domani sia come adesso. Domani ci sarà qualcosa di bello. Domani ci saranno sorrisi per me. Come adesso. Tutti e tre seduti sulla panchina, mi sorridono e mi raccontano di un vecchio scherzo fatto anni fa ad un loro amico.
Decido di sedermi lì con loro, l’ansia sta passando, anche le mie spalle sono rivolte al sole e in quel momento mi accorgo che ho una gran fame di vita....

venerdì 15 marzo 2013

Love 2.0

Capita che in una giornata fredda e piovosa la tristezza prenda il sopravvento. Capita che il morale vada giù. E capita che in giornate così  faccio qualche stupidata.
Per farla breve in un giorno “grigio e uggioso”, in preda alla tristezza, mi sono iscritta ad una community per cercare la “mia anima gemella”. Si: sono una di quelle che ha creduto che il web potesse risolvere il problema dell’amore, o meglio, della mia “singletudine”.
Hai presente quei momenti tristi che ti guardi attorno e non vedi altro che coppie che si abbracciano felici come la pubblicità dei Baci Perugina?
Beh: io affogavo nei cioccolatini,  e collezionavo i cartigli come segni del destino. Poi arriva quel giorno uggioso, (il classico giorno di merda!), apro la mia casella email e vedo pulsare sul video la pubblicità di una piattaforma sociale per trovare “l’uomo/la donna della tua vita”, e il mouse ci clicca sopra.
Respiro profondamente, si apre un “Benvenuto!” come se stessero lì ad aspettarmi da una vita.  Compila qui il test, sarà utile per farti mettere in contatto con la persona giusta.
Mi piace, è un sito che non ti fa perder tempo. Ma prima vado in cucina, mi preparo una bella tazza di the, poi mi risiedo davanti al pc, sfrego le mani, scrocchio le dita e ...avanti!.
Comincio con la prima videata: nome, cognome, data di nascita.... vuoi che compaia sul tuo profilo? cavolo di domanda é? rispondo si, se devo cercare una persona è meglio partire con la sincerità. Sesso:  M o F o Altro? Sorpresa! Un sito serio questo, prevede anche i dubbiosi sulla loro condizione. Piazzo una bella F e proseguo con il format.
Scegli un nick: deve essere lungo almeno sei caratteri e alfanumerico. Ecco! e adesso che nick mi metto? Ne provo uno: già scelto. Provo un secondo: già scelto. Ecchediamine!. Fortunatamente il sito è organizzato e mi fa delle proposte.
Tristezza00: no ti prego, è il massimo della depressione; Foglia22: per carità!;
Dolcezza13: troppo edulcorato e scaramantico.
Alla fine clicco su quello che è più facile da ricordare: Boh63. Mi si addice proprio, non so neanche io che ci faccio qua. Finisco il test, proprio quando sta finendo la pazienza.
Si apre la mia pagina personale e leggo che i dati siano tutti giusti.
Una faccina sorridente mi avvisa: metti una tua foto, così sarai contattata facilmente. Certamente: carico una foto a mezzo busto dove sorrido e la centro nel quadrato. Ecco: ora è tutto pronto.
Arriva un’altra faccina che mi indica “Home”, ci clicco ed eccomi gettata nella mischia. Davanti a me una parata di foto di maschietti e tutti d’accordo sulla foto da mettere: o in costume da bagno a mezzo busto,  oppure in posa intera ma con occhiali che fa tanto misterioso.
Inizio a cliccare qua e là; si aprono vari profili. C’è lo “sportivo votato a vita” che il sito mi indica con tre stelle di affinità, lascio perdere: già è una relazione faticosa. Poi c’è il “compagnone” quello a cui piace stare con la sua donna e con gli amici. Uhm.. questo già mi incuriosisce.  Ecco che il sito mi da un altro consiglio.... Ma posso guardare da sola?  E mentre apro i vari profili, nel frattempo mi passa una foto a mo’ di brezza davanti allo schermo. “Fiocco30 sta visitando il tuo profilo!”,  improvvisamente  si apre una colonnina a lato dello schermo, capisco subito che è la chat. Fiocco30 inizia il suo approccio: “Ciao :)”, che entusiasmo! penso dentro di me. Ma ammetto:  non è facile iniziare un colloquio, anch’io sarei in difficoltà. Ciao rispondo con faccina ridente. Segue subito un “che fai?”, eh! che ci faccio qui? rispondo cortesemente per attirare la sua attenzione con un bel “nulla! :) e tu?” Diomio! che scemata mondiale...!
e mentre aspetto la sua risposta, passa davanti allo schermo un’altra foto-brezza  “Tenace2000 sta visitando il tuo profilo”, proprio quello che mi ci voleva: uno che non perde mai!
Ma intanto proseguo la chiaccherata - se così si può dire - con Fiocco30:  “perche questo nick?” ed io, donna con tanta fantasia da vendere, rispondo: non ce ne erano altri disponibili...
“Sei del 63?” Perché: non si vede dal profilo? mi verrebbe da dire.
Ma faccio la tosta: rispondo con un’altra domanda: cosa che manderebbe in bestia anche un santo. “Perché Fiocco30?”  sperando che quel numero non sia per l’età, o peggio: per il numero di scarpe!
Nel frattempo Tenace2000 inizia la sua chat: “Ciao”, ciao rispondo. E lui: che fai di bello?. Ohsantapace! Improvvisamente sono assalita da una grande stanchezza.
Mi rendo conto che trovare la tua “anima gemella” non è un’impresa: è un lavoro!.
Per educazione rispondo a Tenace2000: sto cercando di passare il tempo. E lui: subito: “ti va di passarlo con me? Dove sei? Ho la moto, posso raggiungerti”. Ma va a quel paese!!!
Ritorno subito al mio profilo, clicco su impostazioni e poi su cancella Account.
“Ci dispiace di questa scelta (faccina triste). Lasciaci un tuo commento, potrà servirci per migliorare” si vabbé! Finalmente arriva l’avviso che il mio profilo è stato cancellato.
L’anima gemella può aspettare. Io esco sotto la pioggia, nonostante tutto è una bella giornata: perché è tutta mia!

giovedì 14 marzo 2013

vagabondo senza Lilli

Una domenica di sole. E’ ora di approfittare per fare un po’ di jogging leggero. Infilo le scarpe da ginnastica, chiudo la lampo della giacca a vento: sono pronta. Mi guardo allo specchio: fantastico! Sembro Rocky ….prima della cura, però! No, bisogna scendere di qualche chilo. Apro la porta di casa e giù per le scale, fino al portone.
Mi avvio per la strada principale, quella più larga e più luminosa, sono dietro ad un gruppo di turisti, armati di bottiglie d’acqua, cappelli da coach e occhiali da sole. La loro compagnia rumorosa mi da allegria, insieme facciamo la strada fino all’incrocio per i musei, poi li distacco.
Proseguo ancora, ho intenzione di arrivare fino al parco per godere di questo sole, magari oggi è aperto il chiosco per prendere un caffé!
Finalmente ecco l’entrata, scendo giù per un leggero dosso, raggiungo una panchina libera e inizio a fare stretching. Tutto intorno è vivo, frizzante. Ancora qualche piegamento sulle gambe e  il sole viene coperto da qualche nuvola. Forse il vento la porterà via, penso, ma purtroppo resta lì, ferma davanti al sole. Il paesaggio cambia aspetto. Le voci dei bambini si affievoliscono, le persone si stringono nei cappotti, la temperatura è più fredda. Accenna qualche goccia di pioggia; accidenti! proprio ora che ero arrivata al parco. Mi avvio verso l’uscita a passi veloci, ma devo ripararmi subito sotto un albero folto, purtroppo la pioggia è già forte. VA bene aspetto qualche minuto,  poi proverò a correre verso l’esterno, ricordo di aver visto delle pensiline, lì posso ripararmi meglio  e comprare un ombrello.
Fortunatamente non sono molto bagnata, già è qualcosa. L’umore intanto sta cambiando, comincio a sentirmi stupida per non essermi organizzata. Ma ormai! E mentre sono presa con i miei pensieri, arriva di corsa sotto l’albero anche un cane. E’ un meticcio di pelo corto e scuro, si da una bella sgrullata, e un’altra ancora, nonostante le mie proteste. Mi guarda coni occhi dolcissimi e si siede accanto a miei piedi guardandosi intorno. Ehi come ti chiami? gli chiedo, come se potesse rispondere!!. Lui gira la testa verso di me e ...sorride. Non sto impazzendo, quando i cani sono felici hanno un modo tutto  particolare di aprire la bocca a metà e far penzolare la lingua fuori. Pochi minuti di attesa ed ecco un momento buono per muoversi da là sotto, corro verso l’uscita del parco e il cane mi segue, trotterella vicino a me per la strada, emi accompagna fino ad un bar. Io entro, e mi giro a guardarlo, lui si siede fuori fissandomi intensamente, come per dire: aspetto qui.
Il cameriere che mi serve il caffé mi da  un cornetto piccolo in mano: “E’ per il suo cane! Guardi come la sta aspettando”. Eh!! penso fra me: manco un uomo ti aspetta così!
Esco e gli porgo il cornetto, lui si avvicina lentamente, annusa, si ritrae abbassando leggermente il capo. Allungo di più la mano e il cane reagisce ritraendosi sempre di più. E’ un cane vagabondo e chissà quante ne avrà passate. Alla fine però si convince, mangia il cornetto e  strofina il suo muso contro le mie gambe. Si lascia accarezzare, ogni volta socchiude gli occhi come se fosse una goduria che non assaporava da tempo.
Proseguiamo ancora insieme per la strada, provo a forzare la corsa - dopotutto ero uscita per dimagrire! - e arrivo all’ultimo incrocio, casa è vicina. Cosa faccio adesso con lui? Lo porto con me? il cane sembra aver capito e prende un’altra strada, io provo a fischiargli e lui torna indietro e accetta altre carezze. Dai, puoi stare da me!. Mi da una leccatina sulla mano e se ne va via spedito. Rimango a guardarlo fino a quando diventa un puntino lungo il viale.
Non potevi venire con me, sei un solitario, uno spirito libero. L’ho capito quando ti accarezzavo. L’ho capito dallo sguardo. Peccato: chissà quante storie ci saremmo raccontati.